Teatro

Monaco di Baviera, Il crepuscolo degli dei

Monaco di Baviera, Il crepuscolo degli dei

Trionfa a Monaco la ripresa del Ring di Andreas Kriegenburg soprattutto per la direzione di Kirill Petrenko, osannato dal pubblico: lo spettacolo però non convince appieno per le scelte registiche e la prova della protagonista Petra Lang.

München, Bayerische Staatsoper, “Götterdämmerung” di Richard Wagner

Il Ring di Petrenko

Alla Staatsoper di München è in scena il Ring di Andreas Kriegenburg, una produzione del 2012  diretta all’epoca da Kent Nagano nell’ambito del Festspiel e ora ripresa da Kirill Petrenko, il talentuoso direttore musicale dell’opera bavarese, che, dopo i trionfi di Bayreuth, si sta imponendo come il nuovo direttore di riferimento nel repertorio wagneriano. Il  Ring di Andreas Kriegenburg, regista di prosa che ha firmato di recente a Monaco le interessanti regie di Lulu e Die Soldaten, è volutamente semplice e leggibile in quanto l’intenzione del regista è “ illustrare” (piuttosto che interpretare come tipico del Regietheater d’oltralpe) un mito atemporale caratterizzato da un andamento ciclico.
L’ultima giornata però, diversamente dalle precedenti, fa precisi riferimenti alla società contemporanea e la rappresentazione è preceduta da proiezioni di catastrofi  (inondazioni, tsunami, disastri nucleari) trasmesse da telegiornali. Le immagini apocalittiche introducono il prologo dove, in un ambiente delimitato da alte tavole di legno, persone evacuate sedute sulle valigie guardano con tristezza i passaporti prima che vengano gettati in sacchi di plastica dagli addetti alla disinfestazione. Dopo il commiato di Siegfried a Brünhilde, sul palcoscenico vuoto si schiera il coro compatto che, coprendosi il capo con le falde degli impermeabili, simula i flutti del Reno ove ondeggia la barca di Siegfried: i corpi diventano materia liquida ed esprimono con un’immagine forte il carattere ancestrale che sottende il Ring.

La scena, ma anche lo stile, cambiano radicalmente nel primo atto dove la reggia dei Ghibicunghi è una corte contemporanea formata da diversi ordini di arcate praticabili in vetro e acciaio che cita in modo evidente l’architettura dei centri commerciali di lusso sorti nel centro di Monaco negli ultimi anni. La scena hi-tech di Harald B.Thor, animata dalle bellissime luci di Stefan Bolliger, è di forte impatto visivo ma non ha nessuna continuità con il prologo, quasi appartenesse a un altro allestimento. I Ghibicunghi sono qui magnati della finanza e del consumo come la parola “Gewinn” (guadagno) e le pubblicità proiettate sulla galleria sottolineano. Gutrune cavalca la sagoma di un  €  rovesciato come fosse un cavallo a dondolo (inevitabile pensare alla posizione tedesca sull’eurozona!), mentre Hagen siede su divani bianchi assaporando sigari ed escort  in un ambiente che ricorda i lounge bar di tendenza della città bavarese, ma cosa c’entra nel contesto il cavallo bianco immobile sul fondo della scena?
Operatori finanziari in abito grigio lavorano senza sosta  al computer nelle gallerie retroilluminate e dall’alto scendono passerelle praticabili che tagliano la scena in orizzontale aumentando il senso di reticolo e gabbia. La galleria è simbolo di una società dominata da un’oligarchia finanziaria che determina i destini dell’umanità con l’aiuto di un “esercito” armato di telefonini alzati al cielo nel “Heil” di saluto. Foto e selfie coi telefonini fanno parte del nostro quotidiano, d’accordo, ma che tale azione sia ripetuta ad oltranza è ridondante, come del resto i tabulati che piovono copiosi  dall’alto alla morte di Siegfried a simboleggiare il collasso. Fiammate video illustrano il rogo finale e la galleria diventa uno scheletro  bruciacchiato in un bianco e nero funebre (straordinarie le luci), dopodiché ragazzi e ragazze vestiti di bianco entrano in scena per stringere Gutrune in un bozzolo che è il cerchio di un nuovo inizio.

Nel 2012 Nina Stemme era stata fra i punti di forza della produzione, nella ripresa la parte di Brünhilde è affidata a Petra Lang con altri risultati; riteniamo rivedibile la scelta della Lang, apprezzata mezzosoprano, di passare a ruoli sopranili: la voce fatica a sostenere gli acuti che risultano tirati e privi di corpo, inoltre si ravvisano problemi di emissione negli attacchi, per cui sulla scena risulta diligente e corretta, ma né vibrante né incandescente. Stephen Gould è un Siegfried solido e credibile che riesce a gestire con intelligenza la voce ai fine della tenuta in una parte così impegnativa; la prova è decisamente buona e solo in qualche passaggio (come nel racconto dell’infanzia) avremmo voluto maggiore leggerezza e varietà di modulazione. Un plauso a Hans-Peter König, Hagen dalla voce ampia, profonda, perfettamente controllata, dal timbro nerissimo in cui c’è tutta la malvagità del personaggio: ci è piaciuto questo Hagen moderno, freddo e calcolatore, dalla cattiveria meno evidente ma non per questa meno pericolosa. I due fratelli sono legati da un rapporto vagamente incestuoso: Anna Gabler è una Gutrune di particolare rilievo e, valorizzata da eleganti abiti da sera (costumi di Andrea Schraad), mostra un cotè sexy inedito; la rampante antipatica e aggressiva ha un’evoluzione tragica che suscita empatia nello spettatore,merito anche di una voce dall’innato lirismo. Alejandro Marco Buhrmester dona a Gunther voce ferma e una nobiltà di canto che per certi versi contrastano con la rappresentazione del rampollo privo di nerbo, depresso e succube. Grande successo per Okka von der Damerau, prima Norna incisiva e soprattutto Waltraute trascinante che ruba la scena a Brünhilde. Bene anche la seconda Norna di Jennifer Johnston (che interpreta anche Wellgunde). Hanna-Elisabeth Müller è Woglinde, Nadine Weissmann Flosshilde.

Kirill Petrenko è direttore musicale dell’Opera di Monaco dal 2013 ma è già diventato il beniamino del pubblico che sembra aver ritrovato nella ricerca della perfezione del giovane direttore (come pure nella sua avversione alle incisioni!) alcuni tratti di Carlos Kleiber. Il gesto è chiaro e preciso, i tempi sempre giusti rendono la vicenda scorrevole con impennate incendiarie che ne rivelano il temperamento ardente e una straordinaria capacità di tenere in pugno l’orchestra nei momenti di esplosione sonora. Petrenko riesce a operare la difficile sintesi fra  un disegno orchestrale nitidissimo, dove si individuano tutti i temi e l’architettura wagneriana, e un suono vellutato, sensuale, ricco di colori. Inoltre riesce a far sviluppare il suono dal nulla in una progressione sensibilissima e avvolgente.
Di altissimo livello la prova dell’Orchestra bavarese. Imponente l’apporto del coro diretto da Sören Eckhoff, potenziato da un coro aggiuntivo.

In un teatro quasi esaurito il pubblico ha tributato lunghi e calorosi applausi a tutti e standing ovation al direttore.

Visto a München, Bayerisches Staatsoper, il  20.03.15